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Più che Trenitalia… Trenitaglia!

Più che Trenitalia potrebbe essere ribattezzata Trenitaglia. Con le 21 tratte ferroviarie soppresse, lo spread tra il Mezzogiorno (Calabria e Sicilia in particolare) ed il resto d’Italia raggiunge livelli da definitivo declassamento. Un divario che, nella ricorrenza dei 150 dell’Unità, sembra ampliarsi in un quadro di persistente debolezza dell’intero sistema economico nazionale e che rischia di farsi dato culturale, trasformandosi in separatezza. Un’ “immanente inefficienza dinamica” la chiama Riccardo Padovani, Direttore dello Svimez, che si riflette, da ultimo, nei pesanti tagli dei collegamenti operati proprio da Trenitalia. In sostanza, con la politica aziendale dell’Ad Mauro Moretti, riconfermato anche presidente delle Ferrovie europee, né Marco Polo, né Cristoforo Colombo avrebbero raggiunto i loro obiettivi. Anche quelle sarebbero state tratte a lunga percorrenza, ad alto rischio e poco remunerative. Ridimensionamenti, quelli di Trenitalia, che producono inevitabili effetti deflazionisti generali, in un’area di economia debole, meno capace di reagire a sbocchi di compensazione sui mercati nazionali ed internazionali. Trenitalia rappresenta un ibrido. Da un lato, quanto a bilanci e struttura produttiva, si configura come un’azienda privata, mentre, dall’altro, gestisce cospicui fondi pubblici a fronte di una politica aziendale che di pubblico ha sempre meno, eliminando fondamentali collegamenti da e per un’intera, ampia zona del Paese. Superfluo ricordare che tanto il Trattato di Roma quanto la legge italiana sulla concorrenza definiscono “i settori dei servizi di interesse economico generale” – quelli che chiamiamo servizi pubblici – facendo rientrare nel novero proprio i treni e le linee ferrate. Secondo i dati resi pubblici alla Camera dei deputati dal parlamentare calabrese del Pd Franco Laratta, il Paese viaggia su binari diversi. Il 44% delle linee ferroviarie al Sud è a binario unico, mentre il doppio binario è stato realizzato in appena il 23 % del territorio a fronte di una media al 50% al Nord e del 27% al Centro. Le linee elettrificate sono il 49% al Nord. Nel Mezzogiorno solo il 28%. Negli ultimi dieci anni, i 560 Km di alta velocità italiana sono stati quasi tutti costruiti al Centro Nord, costando circa 100 miliardi. Di contro, vengono progressivamente eliminate o versano in stato di totale abbandono le tratte a lunga percorrenza e quelle regionali, specie al Sud. Intanto, però, le Fs continuano a percepire cospicui contributi dallo Stato e dalle Regioni per i contratti di servizio con riguardo proprio a tali tracciati. Secondo i dati Bilanci FS, R&S Mediobanca, per il 2010 il loro ammontare è stato di 2,5 miliardi. La Calabria, ad esempio, è una delle regioni del Mezzogiorno più penalizzate. “Il trasporto ferroviario nella Regione presenta livelli di degrado molto gravi. I dati di fatto rivelano una situazione al limite della sopportazione”, afferma Domenico Gattuso, ordinario di Tecnica ed economia dei trasporti all’Università di Reggio Calabria, che si è fatto promotore, assieme a comitati civici, sindaci ed associazioni, di una petizione “Vertenza Ferrovie in Calabria” e di sit – in di “protesta e di proposta”. Di recente anche giovani studenti e ricercatori universitari della Comunità virtuale “In treno” – Riflessioni per tutti i giorni, hanno animato in rete un dibattito chiaro ed inciviso sulla logistica ed i trasporti ferroviari da e per il Mezzogiorno. Il disimpegno, di Trenitalia in Calabria, parte da lontano con Trenitalia Cargo che ha abbandonato i terminali Cargo di Cosenza, Reggio Calabria e Lamezia Terme, con lo svuotamento delle linee silane e taurensi (di proprietà delle Ferrovie della Calabria, ex Calabro Lucane), della linea ionica e di importati stazioni. Senza considerare la Locride, zona ad alta densità mafiosa, con un solo binario senza elettrificazione, che corre sul pericoloso crinale dell’isolamento. Nemmeno il porto di Gioia Tauro, il più grande scalo transhipment del Mediterraneo, ha raccordi efficaci con le reti italiane ed europee. Il porto ha la stessa sorte del resto del Mezzogiorno. L’accordo di programma quadro – che dovrebbe essere la chiave di sviluppo dell’infrastruttura portuale che vive una fase di crisi acuta – prevede un gateway ferroviario di 300 milioni, ma non si sblocca nulla. E meno male che dovrebbe (forse) passarci il corridoio 1 Berlino – Palermo, opera strategica Ue. Ammesso che si faccia e non venga trasformato nel Corridoio Helsinki – La Valletta. Anche le classi dirigenti nazionali e regionali hanno le loro responsabilità. Basti pensare che il piano dei trasporti della Regione Calabria risale al 1997, poi più nulla se non propaganda ad intermittenza. Con l’orario invernale, diventa ancor chiara l’idea di smantellamento del servizio ferroviario da e per il Sud. Viene stabilita, infatti, la limitazione a Roma Termini dei treni a lunga percorrenza da e per Torino, Milano e Venezia, che da più di settant’anni collegavano la Sicilia e la Calabria tirrenica con il Nord Italia e viceversa. Arrivati a Roma – anche per la Capitale molti sono i treni eliminati – si è costretti ad utilizzare le costose Frecce Rosse o d’Argento. Spariscono i vagoni letto ed il servizio cuccette che univa Lamezia Terme Centrale, Milano, Torino e Venezia, come anche quelle da Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Rosarno e Vibo Pizzo. Dopo 137 anni chiude di fatto la linea ionica calabrese: gli ultimi due treni da Reggio Calabria e da Crotone (ICN 782/787 e ICN615/618) sono stati cancellati. Decisioni da scrivere negli annali storici, insomma. L’attuale tracciato ferroviario tirrenico Battipaglia – Reggio Calabria è, in alcuni tratti, a rischio erosione costiera (Amantea – Fuscaldo), mentre in altri è soggetto a costante pericolo frane, vedi il caso di Bagnara – Scilla, dove i treni viaggiano a 20 km/h. Come evidenzia il rapporto Svimez sull’economia calabrese : “i dati confermano una carenza di investimenti da parte dei grandi investitori, Ferrovie dello Stato e Anas in primo luogo, che determina quel ritardo infrastrutturale a rete che rappresenta uno dei principali ostacoli allo sviluppo del tessuto produttivo”. Più in particolare, è lo stesso dossier Svimez ad evidenziare come la fondamentale linea ferroviaria ionica “da decenni non è interessata da investimenti significativi”, mentre gli assi trasversali interni Paola – Sibari e Lamezia – Catanzaro, tra i segmenti ferroviari più critici del Mezzogiorno, sono del tutto insufficienti. Inadeguatezza delle infrastrutture o delle dotazioni, basta scegliere. Binario singolo, assenza di elettrificazione, velocità commerciali sotto i 50 km/h, parco veicolare fatiscente, assenza di servizi di assistenza al viaggiatore, frequenze, orari. Eppure ci sarebbero le basi per invertire la rotta. Le officine Omeca di Reggio Calabria sono un paradigma di eccellenza di know how nella produzione del materiale ferroviario e per i trasporti. Nonostante la crisi ne abbia ridimensionato l’operatività, 34 treni regionali sono in costruzione per l’ammodernamento delle linee ferrate in Emilia Romagna ed in Veneto. I Fondi strutturali europei – aggiuntivi e non sostitutivi di quelli nazionali e regionali – da anni prevedono per le infrastrutture ingenti risorse finanziarie che rimangono, però, inutilizzate, carenti nei progetti e occasione di colossali truffe e di sperpero di denaro pubblico.

Eduardo Meligrana