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Festa di Halloween? No. Ricordo dei defunti

785378543TROPEA – A parte il fatto che questa città, la festa di Halloween dovrebbe cancellarla dal calendario e dalla mente. Perché se si vuole non avere la memoria corta, proprio in questa notte perse la vita uno dei nostri giovani in un incidente d’auto mentre rientrava con amici dalla serata in merito. La festa di Halloween sul dizionario è riportata così “Festa popolare di origine celtica, oggi tipica degli Stati Uniti e del Canada, che si celebra la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre con scherzi e travestimenti macabri e portando in processione zucche intagliate e illuminate all’interno”.

Bene. Per noi è una notte che precede, invece, il ricordo dei defunti, un tempo scandito da un modo semplice di viverla coinvolgendo i bambini in una specie di gioco. Prima dell’avvento, se così si può chiamare, di Halloween, i bambini, specie quelli dei nostri paesi interni, con l’aiuto dei grandi che tra l’altro si divertivano anche loro, si fornivano di zucche.  Le svuotavano, intagliavano anche occhi, naso e bocca, vi predisponevano i legacci per poterla tenere in sospeso e vi accendevano dentro una candela. Chi non riusciva a trovare la zucca, si forniva di una latta, e dopo aver praticato i fori per mettere i legacci, inseriva dentro la candela e il gioco poteva prendere lo stesso vita, perché a quei tempi non ci si perdeva d’animo per così poco!

Con la zucca, o la latta, illuminata in mano, i bambini giravano per il paese bussando alle porte delle case. All’apparire del padrone, chiedevano:  «Mi dati i morti?» e per loro c’erano monetine, ma anche caramelle, cioccolatini, castagne e noci, persino i primi mandarini.

A fine giro i bambini si sedevano ad un angolo di strada e contavano felici quel che avevano raccolto. Erano i doni che le anime dei morti avevano inviato loro tramite parenti e amici. Non c’erano schiamazzi, né brutte maschere da spavento tipo carnevale. Né nottate da trascorrere sballandosi in ogni modo.  Perché i piccoli iniziavano il loro giro al crepuscolo setacciando le case ad una ad una fino a sera inoltrata, poi, dopo la conta di quanto raccolto, ognuno nelle loro case. Era un modo semplice e genuino, tramandato ai bambini dalla notte dei tempi, per far vivere loro il periodo dedicato al ricordo dei defunti. Perché erano proprio questi ultimi che li riempivano di quei piccoli doni che lasciavano per loro nelle case della gente. Ingenuità di un tempo, si potrebbe dire. Ed è un’ingenuità preziosa, che vive ancora in alcuni paesi dell’entroterra. Mentre nella stragrande maggioranza è stata soppiantata da Halloween con i suoi scherzetti e dolcetti, con le sue brutte maschere e che, tra l’altro, non ci appartiene in questa veste. Per noi tale festa si riconduce  al ricordo dei nostri defunti.

E il ricordo è già iniziato da alcuni giorni. Nei cimiteri le cappelle e le tombe sono state già tirate a lustro dai parenti, per togliere la polvere dell’inverno e perché si possano presentare nel migliore dei modi a coloro che si recano in visita. Fiori di vari colori e profumi, candele accese, preghiere. E’ questa la nostra Halloween, sebbene poco festaiola. Ma in parte lo è. Lo è soprattutto per coloro che la necessità del lavoro ha portato lontano. E sono in tanti in questa nostra terra di Calabria, bella come nessun’altra regione per sole, mare, paesaggi, ma con una vita da Cenerentola. E così, il tempo “dei morti”, induce molti a programmare una breve visita nel proprio paese di origine, proprio per visitare i propri cari defunti. Ed è quasi una festa rivedersi tra amici. Perché negarlo?

Si parte dal luogo dove si lavora, per pochi giorni, due o tre, e si fa una visita veloce al paesello. Amici e parenti, saluti e abbracci veloci, e la sosta con il cuore in mano davanti alla tomba del padre o della madre, dell’amico o dell’amica, del vicino di casa; momenti di intenso raccoglimento per essere ancora una volta uniti con le persone amate. Per poi andar via e magari sussurrare nel vento “Ci vedremo a Natale, se Dio lo vorrà”.

Vittoria Saccà