Un tropeano tra i 464 uomini dell’equipaggio disperso nell’affondamento dell’Armando Diaz

IMG-20170203-WA0002TROPEA – Si chiamava Pietro Romeo. Aveva solo 22 anni quando si trovava a bordo dell’incrociatore “Armando Diaz”, e  nella sua città natale, Tropea, aveva lasciato la moglie di nome Romana Gallisto, e due piccole bimbe, Olimpia di appena due anni e Domenica di sei mesi. Ma era tempo di guerra, la seconda guerra mondiale, e bisognava accorrere per la Patria. Sull’incrociatore, era il Marò Fuochista, classe 1915, e quella terribile alba del 25 febbraio del 1941, era già nella sua cuccetta, a riposare dopo il giorno di lavoro e chissà, magari stava sognando di accarezzare e cullare i suoi affetti più cari.

Il 24 febbraio del 1941 l’incrociatore Diaz, al comando del capitano di vascello Francesco Mazzola, partì da Palermo unitamente all’incrociatore leggero “Giovanni delle Bande Nere” ed ai cacciatorpediniere “Ascari” e “Corazziere”. La loro missione consisteva nell’essere di scorta a distanza ai convogli che trasportavano in Libia truppe e materiali dell’Afrika Korps. Dovevano portarsi nel Canale di Sicilia e tenersi pronti a qualsiasi evenienza. Giunse la sera e poi la notte. Intorno alle 3 le navi procedevano verso sud, in direzione di Zuara. Ma in quelle stesse acque, si trovava anche il sommergibile britannico “Upright”, al comando del tenente di vascello Edward Dudley Norman, che era emerso non appena si era fatto buio. Le navi italiane furono avvistate e il nemico puntò i suoi cannoni contro l’Armando Diaz.Armando Diaz2

Ed erano le 3,43 del nuovo giorno, di quella terribile alba del 25 febbraio, quando l’incrociatore venne colpito da due siluri, sul lato dritto, vicino proprio al deposito di munizioni. Vi fu una devastante esplosione. Il primo siluro colpì il Diaz sotto la plancia, il secondo un po’ più a proravia.

Insieme al deposito di munizioni di prua, saltarono in aria le caldaie 3 e 4 che stavano funzionando.

L’incrociatore fu avvolto da una enorme fiammata e una scena apocalittica,  secondo il racconto di alcuni sopravvissuti, sconvolse le acque del mare.  

Dell’equipaggio del Diaz sopravvissero solo 14 ufficiali, 24 sottufficiali e 103 tra sottocapi e marinai. Meno del 25 % i sopravvissuti dell’equipaggio e si dice che nessun altro incrociatore italiano ebbe perdite così elevate in rapporto al personale imbarcato. Furono ben  464 gli uomini dell’equipaggio dichiarati dispersi. Tra questi, il tropeano Pietro Romeo.

Nel dopoguerra, si avviò il recupero del metallo nei relitti affondati, tramite gara vinta dalla ditta Micoperi di Milano che già aveva smantellato diversi relitti. Cercò anche il Diaz che fu individuato alla fine del 1952, con Spartaco Blasizza che guidava le ricerche.

La nave, adagiata sul lato sinistro, era ad una cinquantina di metri di profondità, in posizione in 34°33’N e 11°43’E, spezzata in due, circondata dai rottami, con il tripode spezzato e le torri 1 e 2 abbattute. Per recuperare i metalli pregiati furono usate diverse cariche esplosive che danneggiarono ulteriormente il Diaz.  

La ditta Micoperi, successivamente, venne chiamata dall’Onu per operare nel canale di Suez e quindi interruppe il recupero e dell’incrociatore non parlò più nessuno. Nel tempo si perse ogni traccia e per lunghi anni non vi furono notizie di alcun genere. Fu poi un pescatore di Lampedusa, Turiddu, nel 2004, ad indicare la presenza del relitto a 75 miglia a sudovest di Lampedusa, in acque tunisine, ad un team di subacquei della spedizione Mizar 4. Che si trattasse dell’incrociatore silurato, lo ha confermato la lettera “A” rimasta fissata sulla fiancata, fotografata dai subacquei, che, tra le altre cose, hanno visto il timone insabbiato, lo scafo poggiato sul fondo, le torri dei cannoni con i portelli corazzati sbarrati. La plancia chiusa, con vari vetri blindati al loro posto e, probabilmente, con i corpi dei 464 marinai che sono ancora lì, in quella bara metallica. La Mizar 4 ha effettuato venti immersioni e nell’ultima, i sub hanno appoggiato ai resti una targa metallica con la scritta “Gli italiani non vi hanno dimenticato”.

La storia di questo ritrovamento, raccontata su Focus da Pietro Faggioli, è stata letta dalle due figlie di Pietro Romeo, Olimpia e Domenica, che, oggi, hanno visto riaccendersi le speranze di poter riportare nella loro città i resti del proprio padre. Ma per poter raggiungere questo obbiettivo, dovrebbero riprendere le operazioni di recupero del Diaz dagli Enti preposti ai quali, le due sorelle, intendono rivolgersi.

Vittoria Saccà

About Vittoria

Docente di Materie letterarie presso il Liceo Scientifico "Berto" di Vibo Valentia. Vivo a Tropea, splendida cittadina che si affaccia sul mar Tirreno. Sono giornalista pubblicista.

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