IL CASTELLO DEL FANTASMA

fantasma

«Uh, uh, uh, uh» si sentiva provenire dal castello che stava in cima alla collina.

E l’urlo era ancora più forte soprattutto quando c’era il vento e durante la notte, perché il silenzio ingigantiva i rumori. Tutti avevano paura di avvicinarsi, se ne stavano a debita distanza e naturalmente proibivano ai bambini di andare a giocare persino nelle vicinanze. 

Il castello era circondato anche da un giardino che, col tempo e con l’incuria, si era trasformato in una selva intricata.

«Non ti avvicinare al castello» raccomandava sempre la mamma a Tonino che era un bambino ubbidiente. Ma un giorno, mentre in sella alla sua bicicletta percorreva il viale vicino casa, la sua attenzione fu carpita da un sibilo:

«Uh, uh, uh».

Dimenticò le solite raccomandazioni e si lasciò trascinare dall’istinto. Era troppo forte il richiamo che proveniva dal castello e troppo forte il desiderio di scoprire chi si nascondesse là dentro.

Lui non credeva ai fantasmi, a scuola gli avevano sempre detto che non esistono e che sono solamente suggestioni della mente dell’uomo.

Quello era il momento giusto per scoprire la verità. Poggiò la bici al bordo della strada e si fermò un attimo a riflettere.

«Ubbidisco alle raccomandazioni della mamma, o vado su?»

Domande difficili da risposte altrettanto difficili. Così, riflettendo su quale decisione prendere, si sedette sull’erba e si sdraiò. Mise le mani sotto il capo e chiuse gli occhi.

Ma si addormentò.

Sognò di prendere la via per il castello. Una ripida salita lo aspettava. Passo dopo passo, iniziò quel viaggio con tanta curiosità addosso e un pizzico di paura.

Si guardava intorno.

I cespugli erano tanti e al suo passaggio, scappava ogni tipo di animale: lucertole, api, farfalle, piccole mosche.

Giunse sul piano della collina dove si ergeva il castello. A guardarlo da vicino gli venne voglia di tornare immediatamente indietro.

«O mamma mia! – disse tra i denti – Quanto è brutto. Ha ragione la mamma che non bisogna avvicinarsi!» girò sui suoi tacchi per andare via.

«Ciao Tonino, benvenuto al castello!» udì nell’aria.

Gli venne la pelle d’oca, quella che ci capita anche quando abbiamo freddo.

«Chi è? Chi ha parlato?» chiese.

«Sono il fantasma del castello, entra. Il portone è aperto, basta solo spingerlo un po’. Entra, non aver paura!»

Di paura, in verità, gliene salì tantissima fin nel cervello, ma la curiosità di scoprire finalmente i segreti che lì si nascondevano da anni, fu più forte della paura stessa, così si avvicinò al portone, appoggiò la mano e spinse.

Cigolando, questo si aprì e Tonino entrò.

Il portone si chiuse alle sue spalle. Bam! E un brivido gli percorse la schiena.

«Avvicinati – disse la voce – avvicinati a me».

Il ragazzo si guardò intorno senza vedere nessuno.

«Ma dove sei?» chiese.

«Sono qua, di fronte a te. Solo che tu non puoi vedermi».

Tonino aguzzò la vista, ma nulla.

«Perché non posso vederti?» domandò.

«Perché io sono un fantasma».

«Ho voglia di visitare il castello!» disse il ragazzo, e il fantasma accettò di accompagnarlo per le immense stanze.

Non era un gran bello spettacolo. Tutto era grigio, coperto di ragnatele enormi. Mobili polverosi stavano poggiati ai muri e in mezzo alle stanze stavano abbandonate sedie rotte e poltrone sgangherate, le finestre erano sprangate e lasciavano filtrare qualche filo di luce, le tende che pendevano dall’alto del tetto erano quasi sfatte. E in tutto questo squallore, Tonino fu attratto dai quadri alle pareti, tanti quadri.

Si fermò ad ammirarne uno:

«Bello!- disse – chi è questo bambino raffigurato?»

Il fantasma non rispose. Il ragazzo chiese di nuovo:

«Chi è questo bambino? E quell’altro sull’altro quadro? – poi aggiunse – Ma ad osservare bene, ci sono solo immagini di bambini in questi quadri!»

«Per il tipo di fantasma che sono – finalmente rispose la voce – i bambini sono la mia preda preferita! Ma ora basta domande – proseguì con tono più serio – Se ti ho chiamato qui, è perché ho bisogno del tuo aiuto». 

Con meraviglia, Tonino rispose:

«In che modo può aiutarti un ragazzo come me?»

«Oh, nel modo più semplice. – rispose il fantasma – Sono prigioniero in questo castello per colpa di tutta la gente che non si fa mancare nulla, come i tuoi genitori che ti comprano tutto! Per tornare in libertà, basta che tu mi regali le tue cose A cominciare dalla tua bicicletta, poi dai tuoi libri, dai tuoi giocattoli, dalle tue merendine, da tutte le caramelle che tieni in tasca. Tutto, regalami tutto!»

E Tonino, con un filo di voce, disse:

«Che razza di fantasma sei, se pretendi di avere tutte le mie cose! Neanche ti fai vedere!»

«Io sono il fantasma che non si vede mai, neanche quando c’è! –  proseguì la voce – I miei fratelli si trovano sparsi in ogni angolo della terra. Loro stanno bene. Io, invece, in questo paese sono solo,  abbandonato e prigioniero. Per questo ho bisogno di te, per riavere ciò che è mio».

«Tuo? E cos’è tuo!»

«La tua pelle, il tuo sorriso, la tua felicità, la tua vita. Mi appartengono! Sono cose mie!»

Ma Tonino, che era un ragazzo saggio, di fronte a quei discorsi decise di scappare. Mentre si dirigeva verso il portone, gli gridò:

«Tu sei un fantasma prepotente e senza cuore. Non mi hai detto neanche come ti chiami e già pretendi che ti dia tutte le mie cose. Addio, resta pure nel tuo castello! E per sempre!»

«Non andare via – lo rincorse la voce – resta con me. Sono il fantasma della Fame. Non mi lasciare solo!»

Ma il ragazzo non ascoltò più e prese a correre per la discesa fino a fermarsi là dove era poggiata la sua bicicletta. Stava per salire in sella, quando…

«Tonino! Ti sei addormentato sull’erba? Svegliati!»

Tonino aprì gli occhi e fu felice di vedere intorno a lui i suoi amici e di scoprire che tutto era stato un sogno. Un brutto sogno. Ma lanciò ugualmente il suo sguardo verso il castello.

«Lì non ci andremo mai – disse  – vive prigioniero il fantasma della Fame ed è bene che vi rimanga segregato per tutta l’eternità!»

(Purtroppo, in molti paesi del mondo i fantasmi della Fame sono scappati dai loro castelli facendo soffrire molta gente, soprattutto bambini, e non sono sogni!)

Vittoria Saccà

About Vittoria

Docente di Materie letterarie presso il Liceo Scientifico "Berto" di Vibo Valentia. Vivo a Tropea, splendida cittadina che si affaccia sul mar Tirreno. Sono giornalista pubblicista.

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