Quel difficile connubio fra politica e società civile…

di Rosario Pesce

La ripresa autunnale dei lavori parlamentari ha già riservato alcune novità importanti, fra le quali la più significativa è rappresentata dal rilancio dell’azione dell’U.d.C. e del suo leader indiscusso, Pier Ferdinando Casini. 
Nella convention di Chianciano, appena terminata, è stato delineato, anche se solo in nuce, un’ipotesi di progetto che è sicuramente ambizioso, ma nasconde molte insidie. 
L’on. Casini, andando ben oltre gli angusti confini del suo partito quali si sono delineati nel corso degli ultimi anni, ha finalmente aperto gli steccati della sua formazione, ostentando la vicinanza alle posizioni neo-democristiane di molti potenti ministri tecnici dell’attuale governo e facendo ipotizzare la nascita di un nuovo cartello di forze che, alle elezioni della prossima primavera, dovrebbe schierare nelle sue liste autorevoli notabili del ceto politico della cosiddetta I Repubblica, da De Mita a Gargani ad esempio, accanto ai tecnici, banchieri ed imprenditori soprattutto, che o fanno parte del dicastero Monti o, comunque, non nascondono il loro sostegno all’Esecutivo in piedi dallo scorso autunno. Fra questi ultimi, i nomi del ministro Passera e della Marcegaglia sono quelli più noti e seducenti per la pubblica opinione ed i grandi giornali. 
Verrebbe, quindi, a delinearsi un partito davvero composito: nella medesima lista sarebbero candidati ad un tempo quanti hanno alimentato, quando erano al Governo negli anni ’80-‘90, la grande mole dell’odierno debito pubblico e quanti, invece, poco meno di un anno fa, sono stati chiamati dal Presidente della Repubblica per ricondurre in un alveo meno patologico l’entità dello stesso debito. Insomma, Casini starebbe orchestrando una liaison alquanto problematica fra casta politica e società civile, che rischia di rinfocolare ancora di più i sentimenti feroci di antipolitica diffusissimi fra i cittadini italiani, esasperati dalla difficile condizione economica, che si aggraverà ancora di più nei prossimi mesi. 
Un simile fatto ha immediatamente determinato le ire di Montezemolo, che, intenzionato a candidarsi a Palazzo Chigi in sostituzione dell’odierna classe parlamentare, già in queste ore ha esternato la sua contrarietà verso quelli che, pur provenendo dal mondo delle professioni e dell’impresa, stanno offrendo un’utile sponda collaborativa al debole personale politico della I e della II Repubblica. 
Noi, invero, crediamo alla possibilità che, in democrazia, in maniera ben diversa da quella or ora prospettata debbano configurarsi i rapporti fra la politica ed il vertice economico-finanziario della società: non è certo compito di banchieri ed imprenditori sostituirsi, né integrarsi ad una casta che, forse, ha espletato il proprio mandato e che, più saggiamente, per ragioni anagrafiche potrebbe trasferire il testimone ad una nuova generazione di statisti e di leaders di partito, qualora questa si presenti all’orizzonte. 
La scienza politica italiana, da Gaetano Mosca in poi, ha sempre predicato il principio dell’elitarismo, cioè il primato del ceto dirigente (economico, finanziario, sindacale, accademico, giudiziario) sulla classe politica, ad onta delle liturgie pur previste dalle democrazie rappresentative; perciò, sembrandoci ancora fondate le riflessioni del pensatore siciliano sui rapporti fra vertici dello Stato e forme apicali della società, ci pare avventato che chi ha avuto responsabilità di direzione ad altissimi livelli in Confindustria o nel Consiglio di Amministrazione delle più importanti banche nazionali ed europee, una volta transitato al Governo con un mandato ben limitato nella durata e negli obiettivi, voglia occupare uno spazio che prefigura una “deminutio” e non un ampliamento delle proprie precedenti prerogative di potere. 
Peraltro, gli ultimi mesi della vita istituzionale italiana sono stati contrassegnati dell’esperimento del governo Monti, che ha potuto lavorare serenamente in prospettiva degli scopi fissati di concerto con il Quirinale e con l’Unione Europea, in quanto il premier ha sempre rimarcato la sua equidistanza rispetto alle forze parlamentari, che lo hanno lealmente sostenuto; anche per questo motivo, ci pare improvvido il tentativo malizioso di “politicizzare” l’Esecutivo o, comunque, una sua parte assai rilevante, anche perché ciò ne minerebbe le chance di sopravvivenza dopo il voto della prossima primavera, qualora, per esigenze internazionali, fosse di nuovo necessaria una sospensione della normale dialettica parlamentare e, di conseguenza, si imponesse la riproposizione di uno schema di governo non dissimile da quello montiano. 
Non sarebbe opportuno che la politica cessasse di essere ancella di poteri forti, che sono estranei ad un vissuto autenticamente democratico? Non sarebbe utile riprendere, ad opera di un personale partitico preparato e responsabile, la funzione preziosa di mediazione fra opposte istanze all’interno dell’attuale cornice sociale, nella quale sempre più esclusivo diventa l’accesso alla ricchezza e ai privilegi ad essa connessi? Non sarebbe utile ritornare alle culture politiche del XX secolo, riscoprendo in loro quanto ancora vi è di attuale, anziché affaticarsi in incomprensibili alchimie di potere ed in improbabili miscellanee di esperienze e storie individuali, destinate ad essere bocciate dall’elettore comune, prossimo a forme tragiche di nuova povertà? Non sarebbe opportuno portare il dibattito democratico sulle cose da fare nei prossimi mesi nelle piazze e nelle strade, fra studenti e lavoratori – i cui diritti diminuiscono, in verità, sempre più rapidamente – anziché alimentarlo in ambienti sempre più elitari e lontani dal vissuto di milioni di Italiani? 

Rosario Pesce

About Vittoria

Docente di Materie letterarie presso il Liceo Scientifico "Berto" di Vibo Valentia. Vivo a Tropea, splendida cittadina che si affaccia sul mar Tirreno. Sono giornalista pubblicista.

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