di Dario Godano: Poesia a Marco Buttafuoco-


Poesia a Marco Buttafuoco

Mio Amico

 

Ritornano le stelle in questo cielo

spento e nebuloso di fine ottobre.

Secca nel fango in purpureo velo

la foglia del platano il vial ricopre.

 

Laggiù ti vidi quel lontano giorno,

l’Autunno indugiava e splendeva il sole,

stanco e sudato facevi ritorno,

pedalando fra gli alberi e le aiuole.

 

Da una partita di calcio ritornavi,

rosso nel viso e fradici i capelli,

con quel videogame ti scatenavi,

svelto superavi tutti i livelli.

 

Uscendo poi dalla grande sala giochi

ci osservammo quasi all’improvviso,

i tuoi occhi non erano più due fuochi,

tenevi il cappello, bianco eri in viso.

 

Fermo fissai quel tuo sguardo azzurro,

bello e sereno, degno di un Arcangelo,

non parlai, solo un timido sussurro,

e questa memoria ancor mi infrange.

 

Quanto mi è dolce e caro il ricordare

quei giorni spensierati dell’infanzia

quei giorni della scuola elementare,

quando dal cuore ogni mal si distanzia.

 

E mi sovvien di te ridente a fianco,

gli scherzi, i giochi, le smorfie, la gioia

d’averti sempre compagno di banco,

come riuscivi a mandar via la noia.

 

Il tuo vispo sorriso vivo ed immenso,

in quell’aula fra tutti noi fioriva,

e quanta dolcezza se ci ripenso,

appena che l’ultima ora finiva,

 

quand’io e te stretti mano per la mano

con indosso i grembiuli e le cartelle,

le scale in fila per due scendevamo

tra gioia e grida e tante marachelle.

 

In qual pensiero il mio animo si tuffa,

ricordar le sale del padiglione,

quando noi tutti giocavamo a muffa,

e quei tuoi dispetti da gran burlone!

 

E quando ci richiamavan le maestre

nella nostra complicità gioviale,

se buttavamo aeri dalle finestre,

se giocavamo a battaglia navale!

 

Anche a mensa vicini sedevamo

ogni tanto avevi quei mal di pancia,

poi ti riprendevi e sorridevamo

con in bocca mezza buccia d’arancia!

 

Ripenso quei giochi con Antonino,

le sue barzellette, la sua simpatia,

la tua tristezza quando quel mattino

disse che da Tropea se ne andava via.

 

Ricordo quei pomeriggi piovosi

quando aprivamo i volumi di storia,

come sugli album intenti e vogliosi

disegnavamo le mappe a memoria,

 

e come ammiravi gli antri dipinti,

quelle rosse pitture primitive,

e tutti quei dinosauri estinti

che eran sulle figurine adesive.

 

Mi raccontavi che giù alla marina

tuo padre ti portò a veder le grotte,

e che forse c’eran gli uomini prima,

per rifugiarsi sicuri la notte.

 

Non ti piacevano gli antichi Assiri,

né i Babilonesi e neanche i Sumeri,

tu amavi le piramidi e i papiri,

la magia dell’Egitto e i suoi misteri.

 

E l’epopea dei greci contemplavi,

gli dei e gli eroi ritraevamo spesso,

ripenso mentre che me ne parlavi

e il sogno nei tuoi dolci occhi riflesso

 

appena mi mostravi il tuo disegno,

e mi dicevi: “Questo qua è Ulisse

e i suoi guerrieri nel cavallo di legno.”

Nessun meglio di te me lo descrisse!

 

Quanti scherzi appena ne avevi voglia,

quando stavi dietro la porta blu,

appena un bimbo varcava la soglia

lesto e rapido gli facevi boo!

 

Quante gare a squadre in quel cortile

sabbioso, e come potrei mai scordare

quando cadevo per un piede vile

e tu pronto mi aiutavi a rialzare.

 

Quante figurine dei calciatori

famosi scambiavamo a ricreazione,

qualcun me le rubava, ma poi fuori

me le ridavi dicendo: “Fai attenzione!”

 

E ci scambiammo pure due regioni,

tu studiavi l’Etna, io le Dolomiti,

e ricercavamo gli antichi nomi

di Veneto e Sicilia e i loro miti.

 

Bravissimo eri a svolgere i problemi,

e quel tuo trucco per la tabellina

del nove che m’insegnasti e i premi

che poi ci dava la maestra Lina.

 

Svelto di rigo in rigo ad alta voce

in tutti gli esercizi di lettura,

sempre la maestra Marcella il precoce

tuo esempio lodava di bravura.

 

Non so chi fra noi fosse più maniaco

di Batman, dei Power Rangers o di Sampei,

ma dei Cavalieri dello Zodiaco

tu eri certo il primo fra gli amici miei,

 

e poi Lupin ed Holly e Bengi e Zorro,

e Conan e i Fleestons e Scooby Doo,

e quanti ancor nella mente rincorro,

i cartoni dell’infanzia che fu!

 

A breve il compleanno compier dovevi,

era un pomeriggio di Febbraio,

quando venne tuo padre e non credevi

a quel che ti diceva allegro e gaio,

 

era nato il tuo fratellino Dario,

commosso e fiero l’indomani a scuola

ce lo descrivevi straordinario:

“è piccolo ed ha le manine viola!”

 

E tu crescevi sveglio, agile e bello,

amavi il calcio e non era mistero,

quando tiravi il pallone a un bidello,

dicevi:“somiglio ad Alex Del Piero!”

 

Poi l’ultimo anno, l’anno della gita,

a Caserta, Capri, Pompei e Sorrento,

quando scintillava la nostra vita,

quand’era spensierato ogni momento.

 

Nella reggia la nostra meraviglia,

il rincorrerci in quel parco infinito,

mentre il sole baciava le tue ciglia

adagiati sull’erba per mio invito.

 

E in camera con Ferdinando e Andrea

le cuscinate e i colpi di calzini

la sera a letto e sempre per tua idea

quegli umidi scherzi coi palloncini!

 

Poi a tavola i dispetti di Valerio,

che gli restituivi sul traghetto,

e i Faraglioni e la villa di Tiberio

ammirato ne riparlavi a letto.

 

Sotto quei freschi pini risonanti

ci avventuravamo fra le rovine,

fissavamo i resti degli abitanti,

il teatro, il foro, le mura vicine.

 

L‘ultimo giorno là sul belvedere

ammiravamo il golfo e l’orizzonte,

d’un tratto scesero nuvole nere

un vento strano soffiò sulla fronte.

 

Trascorsero i mesi, iniziò la Media,

nuovi i compagni, nuove le inquietudini,

diversi a fianco erano posto e sedia,

soffrii molto le nuove solitudini.

 

Non ti vedevo la mattina a scuola,

mi mancavi, erano mesi infelici,

poi come la verde tristezza vola,

col tempo mi feci dei nuovi amici.

 

Finché ti vidi quel giorno lontano,

non eri più lo stesso, eri pensoso,

io cercavo di comprendere invano

perché il vedermi non ti era gioioso.

 

Eppure era ottobre e splendeva il sole,

non ti parlai ma ci saremmo visti,

potevo dirti almeno due parole,

ma i tuoi occhi mi parvero troppo tristi.

 

Nevicò quel cupo mese invernale,

sapevo che non c’eri, che eri in viaggio,

non ero a conoscenza del tuo male

fino a quel terribile venti maggio.

 

Bussarono in aula chiedendo di me,

mi dissero che eri morto a Milano,

incredulo non capivo il perché,

mi diedero la tua lettera in mano.

 

Tremendo trauma per sempre indelebile,

quando quella notizia mi raggiunse,

ridirla a me stesso con voce flebile,

atroce l’angoscia che allor mi punse!

 

Freddissima fu quella primavera,

quando le lacrime scesero rapide,

quando venne la più triste bufera,

quando posero quella fredda lapide.

 

Non era grandine non era neve

che l’animo spento mi raggelava,

era il saper che in un tempo si breve

quel brutto male da noi ti strappava.

 

E vengo a trovarti su questo muro,

riguardo la tua foto col rosario,

ripongo un fiore e il trattener mi è duro,

singhiozza il cuore del tuo amico Dario!

 

Di questa mia vita dal fato avverso,

la tua memoria m’è più sacro altare,

come stella che irradia l’universo,

stella che il cielo dona di più rare.

 

Marco mio, non ci sei più ma risplende

nell’anima di chi ti ha sempre amato

ogni ricordo che di te si accende,

come raggi di un sole rinnovato.

 

Rivedo il tuo mite sorriso in quello

di Valerio, il tuo maggior fratello,

e in Dario quella tua ruvida grazia.

ancor più viva e rilucente spazia.

 

Marco mio, come limpido torrente,

tu riverberi nella nostra mente,

come profonde gocce di rugiade

la tua anima è negli occhi di tua madre.


Dario Godano

About Vittoria

Docente di Materie letterarie presso il Liceo Scientifico "Berto" di Vibo Valentia. Vivo a Tropea, splendida cittadina che si affaccia sul mar Tirreno. Sono giornalista pubblicista.

Lascia un commento